Parziale stato delle cose (della psicoterpia)
- Laura Valsecchi
- 24 gen 2023
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 7 feb
Come professionista vengo molto spesso contattata per proposte di pubblicità e/o leggo di pubblicità che propongono percorsi di aiuto psicologico. Se, sicuramente, questa comunicazione ha permesso, forse, di pensare all’aiuto psicologico con minor stigma sociale, aspetto questo tutt’altro che negativo, dall’altro mi sembra importante però osservare come noi professionisti ci poniamo nel proporre la nostra professionalità.
Mentre scrivo ricordo l’osservazione stupita di un collega che aveva trovato la pubblicità di una piattaforma che offriva dei colloqui gratuiti dopo l’acquisto di prodotti per l’igiene intima e si chiedeva: "Ma non stiamo assistendo alla mercificazione della terapia?" A questo io aggiungerei: "Come ci stiamo ponendo noi psicoterapeuti, cosa raccontiamo del nostro lavoro se vendiamo sedute, facciamo offerte di primi colloqui gratuiti o facciamo sconti?"
Quello che mi sembra importante ricordare è che il lavoro dello psicoterapeuta è quello di accompagnare le persone a riconoscere il loro malessere, e non rischiamo, quindi, anche noi di dimenticare fuori dalla porta la relazione se ci proponiamo come venditori e/o risolutori, in poche sedute, di sintomi come se fosse facile?
In questo modo non stiamo rinforzando, forse, quello che già c’è, e che è dilagante ed è una profonda paura della relazione e della fatica delle relazioni, cosa tutt’altro che anomala? Quindi, mi chiedo, non siamo noi stessi che, quasi, rinforziamo un’idea dell’uso della persona come oggetto che risolve e a cui delego il mio malessere con cui non voglio lasciarmi coinvolgere? Il terapeuta sta diventando o è già diventato un oggetto/strumento/ dispensatore?
Allora ripenso ad una chiacchierata con un’anziana collega con cui stavo conversando tempo fa la quale mi disse come le giovani professionalità tendessero a fare proposte che sembravano più commerciali e che andavano ad accogliere immediatamente le richieste di aiuto, senza darsi il tempo di comprendere se ci fosse un'autentica motivazione o se fosse, invece, un finto bisogno di aiuto e di come, quest'ultimo, si presenti oggi, più che mai, come una richiesta di togliere il sintomo, educarlo, trattarlo, risolverlo piuttosto che interrogarlo, senza quindi, e anche, volersi impegnare autenticamente con sé stessi e con l’altro nella conoscenza di sé.
Naturalmente non è così per tutti e non significa che la pubblicità non sia necessaria.
“Quando il ritirarsi dentro di sé sfocia nella relazione con l’Altro; o, all’inverso, per dirla altrettanto chiaramente, quando è attraverso l’apertura all’Altro che si scopre un più interno a sé, e l’approfondimento dell’intimità all’interno di me avviene attraverso l’accesso al Fuori di me stesso.”
Francois Jullien, Sull’intimità, Lontano dal frastuono dell’amore, Raffaello Cortina