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LA PAURA

"Quando Axel Munthe, dopo un lungo silenzio, gli chiede se è vero che i tedeschi siano così assetati di sangue e di distruzione, Curzio Malaprte risponde: " Hanno paura, hanno paura di tutto e di tutti, ammazzano e distruggono per paura. Non già che temono la morte: nessun tedesco, uomo, donna, bambino, vecchio teme la morte. E nemmeno hanno paura di soffrire. In un certo senso si può dire che amano il dolore. Ma hanno paura di tutto ciò che è vivo, di tutto ciò che è vivo fuori di loro, e anche di tutto ciò che è diverso da loro. Hanno paura soprattutto degli essere deboli, degli inermi, dei malati, delle donne, dei bambini. Hanno paura dei vecchi. La loro paura ha sempre suscitato in me una profonda pietà, forse i tedeschi guarirebbero del loro orribile male." (Kaputt, Curzio Malaparte, 1948, p.24).

Trascrivo, copiando letteralmente la parte del libro, Kaputt di Curzio Malaparte che Laura Ambrosiano, psicoanalista, nel suo libro, "Nello spazio del lutto", riporta nel capitolo in cui si dedica a raccontare il legame tra paura e violenza.

Perchè riportare esattamente tutto uguale? Perchè parlare di paura e violenza? Perchè penso che in questo periodo sia necessario e urgente poter riflettere, e non solo dal punto di vista intelletuale, ma nel senso di poter rivolgere uno sguardo, come sempre, al proprio mondo interno, sul come e in quali termini, noi siamo coinvolti, psichicamente, nei movimenti di massa che oggi appaiono così deteriorati e primitivi e che sfociano nella violenza. Come psicoeterapeuta sento una responsabilità etica e, quindi, ho pensato di condividere questo scritto che è così chiaro e dà l'opportunità di mettere luce su alcuni movimenti che appunto non solo serpeggiano, ma ahimè, si manifestano in tutta la loro violenza oggi.

Mi preme sottolineare che la situazione psichica di ogni persona è complessa e non si ritiene che uno scritto possa spiegare o dare soluzioni. Il luogo adatto è sempre quello della stanza di terapia. Ma penso fortemente che i libri ci parlano, ci interrogano e ci permettono di esercitare il dubbio e la messa in discussione.

Ed ecco che inizio a trascrivere:


"Una delle emozioni primarie che necessitano di attraversare lo spazio del lutto è la paura, capace di gettare in un panico psicosomatico tutto l'organismo, di annichilirlo fino al rischio di frammentazione. Cercare degli argini per lenire la paura è uno dei compiti contenitivi del gruppo attraverso le sue elaborazioni culturali.

La paura è presente anche negli animali......nell'uomo invece si allarga oltre la funzione di segnalare un pericolo per la sopravvivenza, diventando anticipazione e previsione della morte.....proprio per questa anticipazione della morte la paura produce scissioni e dissociazioni....la paura ha l'effetto di lesionare - spaccare l'apparato psichico, ma essa indebolisce anche la fiducia di fare parte di questo mondo, di avere un posto in esso e di essere parte del proprio gruppo. Se sfalda l'individuo, la paura è anche in grado di frammentare e sfaldare i gruppi, la loro cultura e mentalità.

La paura può produrre paralisi ma, per altri versi è un'emozione così intensa, che innestando uno stato d'allarme, chiama alla mobilitazione l'organismo, produce adrenalina e un surplus di energie che possano portare ad esplosioni di violenza.

La violenza rappresenta un'alternativa alla melanconia, essa restituisce una sorta di tonicità muscolare e di attività rispetto al senso di sfaldamento.

In un bagno primordiale di paura la pulsione di morte trova libera la via della reazione distruttiva". L'Ambrosiano qui aggiunge alle sue riflessioni quelle di di Adolfo Ceretti e Roberto Cornelli tratte dal libro "Oltre la paura, Affrontare il tema della sicurezza in modo democratico". Gli autori affermano: "In alcune circostanze abbiamo l'impressione che le violenze, private e collettive, rappresentino l'unica, estrema risposta dinanzi ai disagi della vita quotidiana che sopportiamo sentendoci inermi e passivi: dal sovraffollamento delle nostre città, alla disoccupazione e povertà, all'anonimato forzato, alla sporcizia, e al degrado della natura. Abbiamo l'impressione che la violenza intenda rompere lo stato delle cose e ripristinare un ordine violato, un controllo sociale, il diritto di sentirsi a casa propria nel mondo, quando altre azioni non sembrano possibili".

Qui sono io che aggiungo: Pensiamo a tante piccole violenze che vengono espresse e letteralmente buttate fuori, vomitate, espulse sugli altri e/o negli insulti, nei giudizi e/o nell'attaccare qualcuno che si ritiene ai propri occhi colpevole di qualcosa a proprio svantaggio; per esempio, le chat, luogo virtuale in cui ci si incontra, sono piene di tali manifestazioni. Allora l'altro, non sono io?

Continuiamo con il disocrso dell 'Ambrosiano che prosegue: "Cioè quando non si trovano altre vie per dire di no, quando non si è in grado di immaginare alternative ai fenomeni dilaganti o ai paradigmi dominanti. Il senso di insicurezza, di non sentirsi più a casa propria, di temere per la propria sopravvivenza, propria e della propria mentalità, può essere all'origine degli agiti violenti, per il singolo e per i gruppi; la paura di perdere il nesso con il proprio mondo scatena violenza (e, o malinconia).

Per assolvere il suo compito elaborativo, il gruppo, come il singolo, avrebbe bisogno di interrogare la paura. (Ceretti, Cornelli, 2013), coglierne il senso, cogliere il disago che essa urla tutt'intorno. Insomma riattraversa il lutto. Talora il gruppo sceglie la via più agevole e mette a punto operazioni rituali e scaramantiche, organizza una mentalità che chiama a raccolta i membri mettendo a disposizione un noi isolato e alternativo a un loro, una antitesi protettiva rispetto la paura.....Il legame tra la paura e la violenza è facilmente dilagante proprio perchè la violenza si propone come una via di fuga illusoriamente efficace contro l'angoscia annichilente innescata dalla paura. Se la paura può avere dei nomi, l'angoscia fa sbiadire questi nomi, allora ci si confronta con qualcosa di ignoto, si diffonde senso di impotenza, sfiducia, depressione e violenza."


".....il piacere di sentirsi vittima rende conto di un inconsapevole passivo masochismo che invade la scena interiore e relazionale del gruppo aggregato a massa, se non viene modulato, fomenta la violenza come l'unico antidoto alla temuta passività masochista. Se l'intrico pulsionale trova eco e continuità nei paradigmi della cultura diffusa, veniamo precipitati in un caos simbolico che non indica vie d'uscita: più siamo passivi come cittadini più la violenza dilaga. Ma modulare questo intrico comporta di riconoscere che la paura e la violenza sono nostre, sono dentro; un effettivo incremento nell'umanizzazione implicherebbe il riconoscimento che la paura e la violenza riguardano l'intero gruppo, la comunità di appartenenza, tutti coinvolti e responsabili, e che essa non si placa quando scaricata fuori in evacuazioni paronoidi.



"Nello spazio del lutto, Melanconia, violenza, tenerezza", Laura Ambrosiano, Mimesis/ Frontiere della Psiche

"Oltre la paura, Affrontare il tema della sicurezza in modo democratico", Feltrinelli Saggi



 
 

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